Palazzo Marliani Cicogna

Afi

Palazzo Marliani Cicogna

19 marzo- 23 aprile 2023

PALAZZO MARLIANI CICOGNA – 19 marzo – 23 aprile 2023

Piazza Vittorio Emanuele II – Busto Arsizio (Va)

Orari visita:

martedì, mercoledì e giovedì 14.30/18.00 – venerdì 9.30/13 e 14.30/18 – sabato 14.30/18,30- domenica 15-18 – Lunedi chiuso

Il 19/3/23, giornata inaugurale, apertura dalle ore 19 alle 21 ca.

Il giorno 9/4/23 chiuso – S. Pasqua

Ingresso libero

JACOB AUE SOBOL

With and Without you

Quando Jacob Aue Sobol aveva 20 anni, suo padre rimase ucciso in un incidente, a soli 40 anni. Quando Jacob stesso compì 40 anni, iniziò a riflettere sul corpo di lavoro che aveva creato negli ultimi 20 anni che suo padre non aveva mai visto. “Avevo trascorso vent’anni della mia vita con mio padre e vent’anni senza di lui”, dice Sobol. Il suo libro, With And Without You, è una riflessione profondamente personale sugli ultimi 20 anni, ed è dedicato a suo padre. “Poiché è stato poco dopo la morte di mio padre che ho iniziato a interessarmi seriamente alla fotografia, l’ho vista come un’opportunità per mostrargli ciò che avevo vissuto negli ultimi vent’anni. Il libro è un tributo a lui e a tutte le emozioni e l’ansia suscitate dopo la sua morte.

Il libro tocca importanti pietre miliari della vita del fotografo, dall’innamoramento ai suoi viaggi attraverso Bangkok, Tokyo e il Guatemala, dove è rimasto con una famiglia e ha documentato il primo viaggio di una giovane ragazza Maya verso l’oceano; a lavori più recenti a Copenaghen, in America e in Siberia. “Ma non importa dove mi trovo nel mondo, non è una sorpresa che il mio lavoro ritorni a temi ed emozioni ben noti”, afferma Sobol. “Si tratta di umanità, di condividere qualcosa con le persone che incontro, nel tentativo non solo di essere un voyeur, ma di prendere parte alla vita, anche quando la fotografo”.

“Sono abbastanza certo che la perdita di mio padre – in un terribile incidente quando avevo vent’anni – sia stata forse la ragione principale per cui ho iniziato a cercare un modo per sfogare tutte le emozioni che si erano accumulate dentro di me. Non appena mi sono reso conto che la fotografia non riguardava solo il soggetto ritratto, ma anche il rapporto del fotografo con il mondo e ciò che lo circonda, mi sono ritrovato con un bisogno costante di creare immagini, di pubblicarle e permettere ad altri di un’opportunità per vedere il proprio riflesso nel mio lavoro.

 

Jacob Aue Sobol è nato a Copenaghen, in Danimarca, nel 1976. Fotografo e membro di Magnum Photos, ha pubblicato diverse monografie del suo stile unico ed espressivo di fotografia in bianco e nero e ha esposto ampiamente il suo lavoro in luoghi prestigiosi nel mondo.

Le sue immagini si concentrano sull’universalità delle emozioni umane e sulla ricerca dell’amore in ambienti spesso difficili.

Jacob ha vissuto in Canada dal 1994 al 1995 e in Groenlandia dal 2000 al 2002. Nella primavera del 2006 si è trasferito a Tokyo, dove ha vissuto 18 mesi prima di tornare in Danimarca nell’agosto 2008. Da allora ha viaggiato molto, fotografando in Siberia, Tailandia, Mongolia, America e Cina mentre risiedeva a Copenaghen.

Dopo aver studiato all’European Film College, nel 1998 Jacob è stato ammesso a Fatamorgana, una scuola danese di documentari e fotografia d’arte. Nell’autunno del 1999 è andato a vivere nell’insediamento di Tiniteqilaaq sulla costa orientale della Groenlandia. Nei tre anni successivi, ha vissuto principalmente in questa cittadina con la sua ragazza groenlandese Sabine e la sua famiglia, vivendo la vita di un pescatore e cacciatore di foche ma anche fotografando.

Il libro risultante “Sabine” è stato pubblicato nel 2004.

Nell’estate del 2005, Jacob ha viaggiato con una troupe cinematografica in Guatemala per realizzare un documentario sul primo viaggio nell’oceano di una giovane ragazza Maya. L’anno successivo torna da solo sulle montagne del Guatemala, dove conosce la famiglia indigena Gomez-Brito.

Rimane con loro un mese per raccontare la loro quotidianità.

La serie ha vinto il primo premio nella categoria Daily Life del World Press Photo nel 2006.

Nel 2006 si è trasferito a Tokyo e nei due anni successivi ha creato le immagini per il libro “I, Tokyo”, che ha ricevuto il Leica European Publishers Award nel 2008.

Dopo la sua permanenza a Tokyo, Jacob ha lavorato a lungo a Bangkok, dando vita al libro del 2016 “By the River of Kings”. Nel 2012 ha iniziato a fotografare lungo la Ferrovia Transiberiana e ha trascorso i successivi cinque inverni a fotografare nella remota provincia russa della Yakutia per il suo progetto “Road of Bones”. Ha progetti in corso in Danimarca (“Home”) e negli Stati Uniti (“America”).

LUCA CATALANO GONZAGA

Tra la Russia e la Cina, la popolazione tagica è a un bivio in cerca di futuro e sviluppo. Il Tagikistan è, in effetti, il più povero degli stati, nato dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Continuamente alla ricerca di una sopravvivenza economica, il paese è pesantemente colpito dalla disoccupazione e dalla povertà. Una cultura che è nata all’interno della Russia e che si sta ora spostando verso l’influenza della Cina. Oggi, infatti, tutti i trasporti di merci, dal cibo ai vestiti, alle attrezzature sono gestiti e portati dalla Cina. Tuttavia molti lavoratori continuano a emigrare in Russia per trovare lavoro. L’antica Via della Seta è diventata un percorso per fornire sostegno alle popolazioni remote dei Pamir. Rannicchiata in alto ad altitudini inimmaginabili, la popolazione resiste e vive in condizioni limite. La vita è scandita dalla coltivazione della terra per generare pochi prodotti e all’allevamento di pecore per fornire carne e lana. Anche lo yak è una parte importante della loro vita, poiché ben si adatta alle alte quote e fornisce un mezzo di trasporto fondamentale, oltre che per la sua carne e il suo mantello. La catena montuosa del Pamir, costituisce la più grande catena montuosa dell’Asia centrale e del mondo. Conosciuto come “Il Tetto del mondo”, non è solo la regione più alta del Tagikistan, ma anche una delle regioni più alte del mondo, paragonabile alle altezze delle montagne del Tibet. I Pamir in quanto tali si riferiscono alla catena che si estende dal Tagikistan all’Afghanistan e alla Cina. Il confine tra Tagikistan e Afghanistan è una stretta striscia di terra che si protende per poi incontrare il confine con la Cina. Questa terra fa parte di quello che potrebbe essere definito l’ultimo angolo del mondo che non è stato esplorato in profondità. La lenta rivoluzione industriale e tecnologica ha costretto gli abitanti ad essere totalmente immersi in questa vasta area rurale, agricola e montagnosa, sviluppando così un’identità consolidata di molti forti valori tribali e una relazione spirituale, quasi sacra, con l’ambiente, dove la terra e il tempo diventano due elementi essenziali.

Muriel de Meo

 

Luca Catalano Gonzaga

Da anni si occupa di foto-giornalismo a livello internazionale, in particolare in aree fortemente periferiche o di confine.

È fondatore di Witness Image, un’associazione no-profit nata nel 2010 il cui scopo è quello di realizzare una serie di progetti fotografici che raccontino il diritto e l’autodeterminazione dei popoli e testimonino le grandi trasformazioni del nostro tempo.

I suoi lavori sono stati esposti in musei, gallerie e festival a livello internazionale come Palazzo delle Nazioni Unite, Royal Geographic Society, International Centre for Climate Governace, Parlamento Europeo, Expo 2015 – Padiglione della Santa Sede, Visa Pour l’Image. Collabora con Organizzazioni quali: Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Unicef, Oxfam, Fondazione Migrantes, Organizzazione delle Nazioni e dei Popoli non rappresentati (UNPO), Terres Des Hommes.

I suoi servizi hanno ricevuto numerosi premi internazionali, tra gli altri, Sony World Photography Awards, Days Japan International Awards, Luis Valtuena Humanitarian Photogrpahy Award, Picture of the year (POY), Environmental photographer of the year, Care International for Humanitarian reportage, Premio Anima. Le fotografie sono state pubblicate dai più importanti media del mondo, tra gli altri, Time, Newsweek, National Geographic, The Washington Post, The New York Times, Le Monde, Paris Match, Le Figarò, El Pais, Stern, Der Spiegel, Espresso, Internazionale. In dieci anni di attività ha realizzato più di 50 reportage fotografici e visitato più di 30 Paesi in tutto il mondo.

FRANCO ZECCHIN

LETIZIA. Letizia Battaglia nelle foto di Franco Zecchin

Dal 1975 al 1994 Franco Zecchin ha condiviso con Letizia Battaglia la vita privata e professionale in cui si univano la passione per la fotografia e l’impegno militante, in rapporto con la drammatica attualità siciliana di quel periodo. Quaranta ritratti ripercorrono quegli anni in cui, accanto al giornalismo trovavano spazio il teatro e il lavoro all’interno dell’ospedale psichiatrico, il mondo della fotografia internazionale, la scoperta di altri luoghi, i ruoli pubblici, la politica e il quotidiano. Quaranta ritratti attraverso i quali Franco Zecchin restituisce un’immagine di Letizia Battaglia umana e lontana dai clichés.

 

Nato nel 1953 a Milano, nel 1975 Franco Zecchin si trasferisce a Palermo, dove diventa fotografo professionista, lavorando sulla mafia, la corruzione politica e le condizioni sociali in Sicilia. Nel 1977, con Letizia Battaglia, crea il primo Centro Culturale per la Fotografia situato nel sud dell’Italia e, nel 1980, è tra i fondatori del Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato”. Fa teatro e realizza film all’interno dell’ospedale psichiatrico di Palermo.

Nel 1988 diventa membro “nominé” dell’agenzia Magnum. Tra il 1989 e il 1991 conduce un’inchiesta fotografica sui rapporti tra inquinamento industriale e salute pubblica in Slesia (Polonia). Nel 1991 inizia una ricerca fotografica sul nomadismo e l’uso delle risorse ambientali lavorando per alcuni anni su una decina di società in diverse parti del mondo.

Oggi vive e lavora in Francia dove, insieme alle attività di formazione alla fotografia, continua a esplorare il rapporto tra territorio e pratiche sociali attraverso la fotografia.

Le sue foto fanno parte delle collezioni dell’International Museum of Photography di Rochester, del MOMA di New York e della Maison Européenne de la Photographie a Parigi. https://francozecchin.com/

ADALBERTO GUARNERIO

Favolosi anni ’60

Le fotografie dei grandi personaggi del cinema, dell’arte, del teatro e della società.

 

Adalberto Guarnerio nasce a Milano nel 1937.

A soli 20 anni inizia l’attività di fotoreporter presso la mitica Agenzia Farabola descritta dal suo fondatore, Tullio Farabola, “uno degli archivi più ricchi e meglio organizzati in Italia”.

A fine anni ’50 e inizio anni ’60 Guarnerio realizza reportage nei settori dello sport, dello spettacolo, di costume, ritraendo personaggi della politica, dell’arte e della musica. Arricchisce il suo percorso professionale con importanti servizi su fatti d’attualità che oggi costituiscono un vero e proprio archivio storico irripetibile.

Ai tempi i fotoreporter erano definiti “schiacciabottone” perché dovevano occuparsi di documentare la cronaca. Guarnerio ha saputo distinguersi perché, con stile personale, ha scelto inquadrature differenti, più personali, controllando sapientemente la luce concependo immagini che fanno parte della storia del nostro Paese, e non solo.

Dalla Milano del boom economico Guarniero passerà alla Milano della moda.

Nel 1967 viene assunto dalla Fabbri Editori per reportage di sport e turismo.

Nel 1972 passa alla RCS Periodici in qualità di fotografo per il settimanale Annabella, per i servici di moda, che realizza in tutto il mondo.

Nel 1992 lascia la RCS per la libera professione, collaborando con settimanali e mensili di vari settori e importanti marchi, realizzando campagne pubblicitarie e cataloghi.

Favolosi anni ’60 raccoglie alcune tra le migliori testimonianze del Guarnerio giovane fotoreporter dell’Agenzia Farabola. I suoi esordi si trasformano in memoria collettiva.

GIOVANNI SESIA

Life at the crossroads/La vita al bivio

Tra vecchi archivi e mercatini, Giovanni cerca e raccoglie lastre e fotografie nel tentativo di riportare alla luce particolari di vite passate, volti dei quali non si conosce forse il nome, ma dettagli importanti sulla loro esistenza. Queste opere si trovano in bilico tra la fotografia e il dipinto, per l’autore l’immagine riportata sulla tavola non è altro che un punto di partenza per un’opera finale che sfugge ad ogni facile etichettatura. Non si tratta, infatti, di una semplice foto ritoccata e dipinta, l’immagine di fondo, viene completamente ricreata e reinventata e la materia pittorica si unisce alla fotografia sottostante divenendo quasi una cosa sola. Il percorso di conoscenza dell’opera di Giovanni Sesia si presenta come un viaggio coinvolgente attraverso i sentieri della memoria. Una memoria che non solo restituisce presenze del passato all’occhio dello spettatore, ma è anche capace di proiettarlo nel tempo e nel luogo a cui quella presenza è appartenuta. Capita di fronte ai dipinti di Giovanni Sesia che la nostra mente viaggi fino a portarci in un vissuto lontano di cui possiamo quasi percepire il contesto. Ci sembrerà, allora, di sentire una musica, di ascoltare voci del passato, di vedere la scena muoversi intorno a noi e noi all’interno di essa. Lo spettatore riceve un biglietto per un viaggio spazio-temporale, una chiave per entrare nei meandri della storia, in cui non sono solo i fatti ad essere raccontati, ma le emozioni di chi li ha vissuti. L’arte restituisce alla memoria ciò che il tempo le ha tolto. Nelle opere in mostra: cimeli, motociclette, volti e oggetti del passato provenienti da fotografie scrupolosamente raccolte da vecchi archivi e mercatini d’antiquariato. Una volta scelta l’immagine, l’artista inizia il suo lavoro sulla tavola o sulla tela. Le pennellate velano sovente la scena, allo scopo di mettere in rilievo il soggetto principale. Anche il segno è presente, ma sotto forma di indecifrabile grafia. Una scrittura “impressionista”, dove l’unica cosa che si può leggere è la sensazione di parole passate: scritte, lette, recitate. Giovanni Sesia utilizza una tecnica personalissima, in cui fotografia e pittura si legano in maniera indissolubile per restituirci un’immagine capace di evocare sensazioni che vanno ben oltre il semplice dato visivo. L’artista lavora, infatti, con l’intento di suscitare emozione, senza la quale, per sua stessa ammissione, l’arte non può esistere. L’emozione proviene dall’oggetto e il compito dell’artista è quello di trasferire al suo pubblico le sensazioni ricevute, ad esempio, guardando una lastrina o un vecchio negativo. Ma l’arte ha anche un altro importantissimo ruolo: quello di alleggerire gli umani tormenti. Secondo Giovanni Sesia, di fronte alle sofferenze dell’anima la musica e la pittura sono delle cure. Il malato? L’artista, il gallerista, il critico, il collezionista… Katy Carta Giovanni Sesia biografia Giovanni Sesia nasce a Magenta nel 1955 e compie i propri studi a Milano, diplomandosi alla fine degli anni ’70 presso l’Accademia di Brera. Dopo un primo periodo, in cui predilige una cifra stilistica espressionista caratterizzata da una tavolozza molto decisa, Giovanni Sesia si dedica all’elaborazione di una tecnica personalissima che mette in comunicazione pittura e fotografa. Nel 1998 scopre un archivio di immagini risalenti all’inizio del secolo, rappresentanti i pazienti di un vecchio ospedale psichiatrico. Decide di emanciparle dall’oblio e restituirle alla memoria, rendendole protagoniste di una serie di sue opere pittoriche. Questi lavori aprono a Giovanni Sesia la strada verso importanti partecipazioni espositive come, ad esempio, la rassegna Photo España nel 2003 e la mostra “Da Dada” curata da Achille Bonito Oliva del 2006. Negli anni successivi, l’artista, approfondisce le potenzialità espressive della contaminazione tra fotografa e pittura, elaborando serie pittoriche dedicate ad oggetti di uso comune come vecchie lenzuola, sedie, vasi, etc.Particolare attenzione merita il gruppo di opere dedicata alle motociclette che gli vale una commissione da parte della Fondazione Ducati. Giovanni Sesia reinterpreterà le storiche immagini della casa motociclistica bolognese, rendendole poetiche e immortali attraverso la sua pittura.

 

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