Castello Visconteo di Legnano

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Castello Visconteo di Legnano

1 aprile – 6 maggio 2023

Castello Visconteo1 aprile – 6 maggio 2023

Orari visita: sabato, domenica e festivi: 10/12,30 – 15/19

Chiuso il 9/4/2023 – Pasqua

Ingresso libero

T 0331-471575/578 – segr.cultura@legnano.org

FOTOGRAFIA E ARCHITETTURA: L’ALTOMILANESE E ALTRI LUOGHI IN ITALIA

ALTOMILANESE

23 Comuni, 6 fotografi,

Fotografie di: Giuliano Leone, Roberto Bosio, Roberto Venegoni, Claudio Argentiero,  Silvia Lagostina, Giovanni Mereghetti

Non è facile definire chiaramente i contorni del territorio di cui vedremo le immagini, e

del resto – se è importante per l’Archivio Fotografico Italiano porre le giuste etichette alle cartelle, stampate o online, che raccolgono il meritorio lavoro di conservazione – non lo è altrettanto per chi si trova a vivere emozioni proprie di fronte alle immagini scattate tra quel che vediamo oggi e il secolo appena lasciato.

Vivere tra Milano e Varese ha i suoi pro e i contro: a un passo dalla metropoli, sono diversi i circuiti dinamici. Il lavoro e il commercio hanno trasformato, senza porsi troppi problemi quantitativi e qualitativi, un paesaggio che solo i più vecchi ricordano.

Un reticolo di strade, con corsie in perenne aumento, per spostarsi incessantemente altrove, incapaci di godere il luogo in cui si è, forse proprio perché cambiamenti stressanti e pressanti hanno dimenticato un aspetto importante dell’umana presenza che qui alberga da secoli (lo sfondo, se pensiamo a quella fotografia che è poi per molti la pittura di oggi): la natura che soffre l’incombere di una incontrastata modernità senza nemmeno più l’alibi dello sviluppo e della creazione di lavoro e benessere condiviso.

Come diceva bene il prof. Pietro Cafaro nel suo libro sull’Alta pianura milanese “L’uomo che abita queste terre è costantemente alla ricerca di una strada per poter fruire al meglio delle scarse risorse disponibili: ritrova nei vantaggi di un commercio protratto su uno scenario che travalica fiumi, laghi, monti e mari, lo strumento per la propria emancipazione. Ed è lo scambio di conoscenze e di informazioni derivate da questo precoce ‘girare per il mondo’ a suggerirgli nuove attività di trasformazione: spore che, colte ai quattro angoli del mondo, si accasano tra Ticino e Olona”.

Sarà dunque la sensibilità degli autori che andremo a conoscere a raccontarci quel che sono, e sono state, le nostre terre: scatti non veloci, senz’altro empatici, animati dalla sincera urgenza di aiutarci a ricordare, e definire, i luoghi che abitiamo, dandoci così modo di comprendere meglio il nostro ruolo nella commedia umana che in questo palcoscenico di provincia si srotola nel tempo. Per difenderne storia e natura: protagonisti senzienti, non inconsapevoli comparse. (Luigi Marinoni)

PASQUALE LIGUORI

Roma, borgate

 

Le borgate ufficiali, istituite in epoca fascista per la costruzione di abitazioni destinate ai ceti più poveri e al sottoproletariato, rappresentano oggi distretti perlopiù costitutivi del tessuto urbano consolidato di Roma.

Un tempo, entità volutamente separate e distanti dal centro cittadino, oggi risultano incorporate nel caos edilizio degli ultimi decenni, esito di pianificazioni rivelatesi spesso inefficaci o disattese.

La ricostruzione storico-urbanistica riguardante le borgate ufficiali deve molto agli studi di Italo Insolera che, in Roma moderna1, dedicò pagine sempre indispensabili per una conoscenza del tema.

Recenti ricerche2, tuttavia, supportate da fonti documentali sinora inesplorate, aggiungono importanti elementi di complessità alla configurazione critica del contesto in cui venne a maturarsi la nascita delle borgate a Roma. Il loro stesso numero, ad esempio, si attesterebbe in diciannove e non in dodici come sinora comunemente accettato. Basta già questo a dimostrare quanto sia vivo il dibattito su scelte politiche dell’epoca che pure si riverberano impattanti sugli assetti urbanistici contemporanei della Capitale.

Nei nuovi studi vengono profondamente riconsiderati eventi politici e sociali alla base dei provvedimenti istitutivi delle borgate. Sicché sembrerebbe oggi riduttivo parlare di nascita delle borgate rapportandola unicamente agli sventramenti del centro cittadino di Roma. Non un epifenomeno, tuttavia è stato possibile documentare come tali eventi demolitivi abbiano contribuito solo in parte ad alimentare la composizione sociale del popolo delle borgate.

I provvedimenti dell’epoca si associarono, in ogni caso, a emarginazione, dolore e iniquità di vario genere. Una miscela della difficoltà che emana ancor oggi proiezioni utili per un’analisi della demografia sociale e territoriale, della distribuzione di risorse e servizi e, in definitiva, della generale gestione metropolitana.

Pasquale Liguori, fotografo autore di precedenti mostre e testi3 sulle borgate, stimolato anche dalle evidenze storiche recentemente emerse, è ritornato a esplorare queste aree urbane di Roma istituite durante il ventennio.

La proposta della mostra BORGATE si inquadra perciò come tappa più recente e matura nell’ambito di un percorso pluriennale di indagine fotografica condotta nelle borgate ufficiali di Roma.

Una valutazione degli assetti urbani in una chiave di retro- e pro-spettiva è felicemente coadiuvata dalla produzione e studio delle immagini. La fotografia si mette in viaggio e ripercorre contesti edilizi che furono e non sono più o che sono arrivati quasi inalterati fino ai nostri giorni. In entrambi i casi, strutture pregne del loro carico umano.

Esigenze, nel progetto così rilevanti, unite a quella di un approccio allo studio della trasformazione urbana se si vuole ancora più analitico e slow, costituiscono i pilastri della scelta adottata di fotografare le borgate questa volta con strumenti analogici, utilizzando pellicola piana per grande formato e da cui sono ottenute le stampe esposte nella nuova mostra.

L’immagine contemporanea dei luoghi delle borgate, attenta alla porosità urbana, all’architettura, alla capacità di adattamento e proposta di chi vi abita, apre dunque a una duplice e simultanea opportunità. Da un canto, la riflessione sull’abitare e sulla fisionomia di ambiti territoriali che non tutti conoscono promuovendo dunque consapevolezza del territorio e, dall’altro, lo stimolo a una discussione sul possibile urbano. In tal senso, considerando questi pezzi di città non più schegge espulse dal nucleo vivo della città osservate speciali da una posizione centrale di comodo. Piuttosto, essi stessi snodi di partenza per un ragionamento sullo sviluppo sociale ed edilizio capace di contribuire a una svolta contro il declino progressivo di questi ultimi anni.

 

Pasquale Liguori fotografa principalmente contesti di edilizia residenziale pubblica e la città ai suoi bordi. Il suo lavoro recente nelle capitali italiane ed europee si focalizza sullo studio dei luoghi e degli assetti territoriali, dove la presenza umana viene raccontata attraverso le sue tracce eloquenti, in un approccio originale a metà tra reportage e ricerca sullo spazio urbano.

Ha pubblicato due volumi fotografici “Borgate” e “Impasse” ed effettuato mostre in musei, enti istituzionali e centri sociali.

Collabora con riviste indipendenti e di architettura ed è autore di saggi riguardanti la periferia e la fotografia urbana e sociale.

È attivamente impegnato in campo sociale in attività di sostegno umanitario.

VITO LEONE

Taranto, quartiere Tamburi

 

La fotografia minimalista di Vito Leone, tra architetture urbane e luoghi universali. L’essenza della bellezza, una ricerca che omaggia anche Taranto.

Vito Leone è cresciuto negli anni ’80, nel quartiere Tamburi di Taranto, il paesaggio industriale e urbano è parte di sé. Racconti di città-alveare, di quartieri popolari, di periferie e cemento sono il rumore di fondo, costante, della fotografia di Vito Leone. La sintesi è un contrappunto di linee e forme, che coglie il ritmo della città, gli accenti e le pause, nella ripetitività o nella discontinuità dell’immagine. Merletti di bianco assoluto (la Concattedrale di Giò Ponti) e buchi neri (i corridoi della Bestat, le scale concentriche razionaliste) fanno il resto.

Il lavoro di Vito Leone è un omaggio a Taranto, ad una città violentata da decenni, eppure bellissima, fissata in ‘pose’ che rappresentano sì Taranto, ma potrebbero essere topoi universali. Non-luoghi come le periferie, le stazioni. Spazi comuni, slegati dal contesto, per questo riconoscibili a tutti e in cui tutti si riconoscono, “come se il mondo fosse un’unica grande città”.

La ricerca fotografica di Vito Leone fonda le radici nel minimalismo degli anni ’70 e rende tributo a grandi nomi del ‘900, tra tutti Gabriele Basilico, Lewis Baltz e i coniugi Becher. Un processo di “sottrazione” del segno che si ricompone nella semplicità dell’immagine, la quale, alleggerita dalle ridondanze, si assolutizza in linee e colore. Aveva forse ragione Gabrielle ‘Coco’ Chanel, pioniera del minimalismo nella moda: “Prima di uscire, guardati allo specchio e levati qualcosa”.  La struttura architettonica perde il suo valore d’uso quotidiano e diventa metafora, simbolo, essenza. E’ il principio del ‘less is more’ di Van De Rohe applicato nella fotografia.Il risultato è uno studio comparato sulle forme che si ritrovano nella perfezione del design e – in assoluto – nella matematica. Dicono che in questo tipo di fotografia presenza umana ci sia poco e che di essa si percepisce solo il passaggio. Piuttosto, la tensione verso l’astrattismo e il simbolismo, la fissazione del paesaggio in archetipi, fa diventare quest’arte concettuale, introspettiva, a volte onirica. L’uomo c’è, c’è sua mente, a volte scomposta, inghiottita dal tunnel dell’esistenza, altre volte mera spettatrice della grande bellezza.

 

Vito Leone è nato a Taranto nel 1964 e lavora nel campo della comunicazione. Vive da dieci anni a Grottaglie. È laureato in lingue e letterature straniere ed è giornalista. Ha partecipato a mostre, personali e collettive, in Italia e all’estero. La sua ricerca fotografica è iniziata dal minimalismo, per giungere, oggi, ad una dimensione più antropologica, di indagine sull’uomo ed il paesaggio.
L’uomo e l’acqua. Gli scatti di Vito Leone riprendono l’umanità nei suoi aspetti più vari: intimi, di grandi solitudini e malinconie o estroversi, teatrali, quasi caricaturali. E’ la “commedia umana” che, dinanzi al mare, come in un estemporaneo palcoscenico en plein air, si manifesta in tutta la sua pienezza e diversità. C’è chi mangia, chi racconta una storia al vicino, chi si specchia. Qualcuno guarda l’orizzonte. Ci sono tante piccole storie; lo sguardo può isolarle, leggerle una ad una, oppure cercare un significato d’insieme. Questo istante, condensato in una foto, diviene ricordo personale e memoria collettiva, indagine, testimonianza, documentazione.
Con una delle foto de “La Commedia Umana”, Vito Leone è stato tra i finalisti del Sony World Photography Awards 2017, per la categoria ‘open’-sezione cultura, nella quale sono stati

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