LEE JEFFRIES

Afi

LEE JEFFRIES

Dal 17 marzo al 27 aprile

Palazzo Marliani Cicogna

Piazza Vittorio Emanuele II – Busto Arsizio (Va)

Apertura: martedì, mercoledì e giovedì dalle 14.30 alle 18 – venerdì dalle 9.30 alle 13 e dalle 14.30 alle 18 – sabato dalle 14.30 alle 18.30 – domenica dalle 15 alle 18 – Lunedi chiuso
Domenica 16 marzo, giornata inaugurale, apertura dalle ore 18 alle 21 ca.
Chiuso domenica 20 aprile 2025 (Pasqua)

Ingresso libero

PORTRAITS

A cura di Barbara Silbe
In collaborazione con il Museo Diocesano Carlo Maria Martini – Milano

Per realizzare ritratti fotografici potenti come quelli qui esposti, ancor prima della competenza tecnica o della visione artistica, occorrono due requisiti fondamentali: la vicinanza e l’empatia con i soggetti. Le inquadrature spiegano, senza il bisogno di commenti, quale sia l’approccio con il quale l’autore interagisce con i senzatetto o con le persone in genere: nulla di superficiale, di rubato in velocità restando a distanza o utilizzando un teleobiettivo, ma un approccio volto a suscitare fiducia in chi ha di fronte, per costruire con ciascuno un rapporto che vada ben oltre l’istante decisivo catturato per l’immagine finale.

Lee Jeffries (Bolton, 1971) inizia la sua carriera occupandosi di eventi sportivi. Nel 2008, a Londra, un incontro casuale con una senzatetto cambia radicalmente il suo percorso e lo porta a intraprendere un viaggio personale attraverso alcune delle strade più pericolose del mondo, passando dai vicoli di Los Angeles fino ai quartieri degradati delle città europee. La sua attenzione si ferma su uomini e donne emarginati che vivono per strada, colti nella loro vita quotidiana, dei quali realizza meravigliosi ritratti a colori o in bianco e nero, contestualizzati su sfondi monocromatici scuri ed elaborati con un efficace contrasto tra luci e ombre. I principali protagonisti di questa sua lunga ricerca, della quale viene qui proposta una importante selezione, sono gli “invisibili” che i passanti schivano e respingono, solitamente difficili da convincere ad accettare l’invadenza di un obiettivo indagatore e ai quali lui restituisce nuovamente dignità.                                            

In mostra il visitatore vedrà i personaggi più disparati, proprio come avviene per strada. Un susseguirsi di volti fieri, talvolta irriverenti, dolenti, le cui espressioni rivelano la moltitudine di universi che hanno attraversato nel corso della loro esistenza. Jeffries conosce ogni singolo soggetto che ritrae, lo ha frequentato, ascoltato, spesso aiutato, ben prima di inquadrarlo. In qualche modo lo aspetta, attende il tempo necessario al sorgere della fiducia reciproca grazie alla quale entrambi abbassano le difese per riuscire a comunicare.

Questi soggetti emergono dal buio profondo, inondati da una luce teatrale, quasi caravaggesca, che restituisce ogni segno sulla pelle, ogni dolore racchiuso nel profondo dell’animo. Trasmettono insieme sconforto e speranza: da un lato l’inferno, il loro, il suo e il nostro, dall’altro il Mistero che traspare dal volto delle persone che incontra. In questo gioco di specchi appare evidente che tutti aspiriamo solamente ad essere guardati, visti, considerati e amati (Barbara Silbe).

 

, , , , ,